Esistono numerosi studi sulla manipolazione psicologica dei social network, che ci spiegano come le piattaforme social possano influenzare il comportamento, le emozioni e le decisioni delle persone che li usano. Ma quali sono le tecniche e i canali attraverso i quali si realizza questa manipolazione? Di seguito vediamo alcuni di questi.
1. Ricerca di approvazione sociale
Le persone tendono a cercare approvazione e riconoscimento sociale. Sui social network questo si traduce nell’engagement (mi piace, commenti, condivisioni di post, visualizzazioni di contenuti). Un alto livello di engagement sui contenuti dei loro profili social genera soddisfazione, euforia e piacere. Tuttavia può verificarsi il contrario: poche interazioni o interazioni negative possono portare gli utenti a stati di frustrazione, ansia e depressione.
2. Rafforzamento di comportamenti, pensieri e abitudini di consumo
I social network si basano su algoritmi (insiemi di regole di funzionamento) che personalizzano i contenuti in base agli interessi, alle abitudini e alle interazioni degli utenti. Questo manipola i loro comportamenti.
Ad esempio i contenuti sponsorizzati portano le persone a conoscere e a scegliere determinati prodotti e servizi solo perché li hanno visti pubblicizzati sui social e non perché effettivamente gli servono, sono utili per loro o sono validi.
Anche i contenuti non sponsorizzati (ma comunque personalizzati) rafforzano convinzioni preesistenti, influenzano opinioni e comportamenti spesso sbagliati. Gli individui di solito osservano e imitano i comportamenti degli altri sui social network, soprattutto quelli di influencer, celebrità e amici.
Quindi non solo i consumi ma anche i comportamenti, i pensieri e il sistema di valori sono modellati da quello che si vede sui social network.
3. Modifica dei sentimenti e delle emozioni degli utenti
Le piattaforme social possono manipolare le emozioni e i sentimenti degli utenti attraverso i contenuti mostrati. L’esposizione continua a contenuti negativi può portare a riversare nella realtà queste emozioni.
Le fake news, la disinformazione e la propaganda non dichiarata manipolano le percezioni e i comportamenti degli utenti, influenzando le decisioni politiche e sociali.
Inoltre il tempo trascorso sui social network crea dipendenza e alienazione dalla realtà, andando ad impattare sulla vita quotidiana, familiare e relazionale delle persone.
Come limitare i danni della manipolazione psicologica dei social network
Ovviamente la soluzione al problema della manipolazione psicologica dei social network sulla mente delle persone non può essere l’eliminazione totale dei social stessi. Piuttosto è preferibile intervenire sul piano educativo.
Gli utenti devono conoscere i metodi di manipolazione utilizzati dai social network: comprendere le regole che stanno alla base del loro funzionamento aiuta a sviluppare un pensiero critico, evitando di venire influenzati da tutto quello che si vede online.
Molto importante è anche imparare a verificare le fonti per non cadere nelle fake news e nella disinformazione.
Per quanto riguarda il tempo trascorso online, oggi molti social network forniscono strumenti di monitoraggio per capire quanto tempo abbiamo impiegato utilizzandoli. In tal modo siamo in grado di fare delle pause e diminuire la dipendenza.
Altri metodi per ridurre l’impatto dei social sulla nostra vita reale prevedono di ridurre o silenziare le notifiche push (in tal modo si riducono le distrazioni e la pressione psicologica) e aggiornare le impostazioni di privacy per limitare la raccolta e l’uso dei dati personali.
Ognuno di noi può avere una parte attiva nel miglioramento dei social network anche segnalando i contenuti fake, manipolativi e dannosi e seguendo solo profili affidabili e autorevoli che condividono informazioni verificate.
Alcune letture e approfondimenti sulla manipolazione psicologica dei social network
Se volete saperne di più su questi argomenti, ecco una serie di letture utili.
“L’età del capitalismo della sorveglianza” (2018) di Shoshana Zuboff
Shoshana Zuboff è un professoressa americana, esperta di psicologia sociale e filosofia. In questo suo libro “L’età del capitalismo della sorveglianza” spiega come le grandi aziende tecnologiche utilizzino i dati personali degli utenti per manipolare il loro comportamento e trarre profitto.
I dati raccolti dai social network (mi piace, commenti, visualizzazioni, click sui link, salvataggi, condivisioni) sono un grande potenziale per le piattaforme e le aziende tecnologiche, che riescono a conoscere le richieste e i desideri dei consumatori e modificarli di conseguenza. Questa situazione viene definita dall’autrice “capitalismo della sorveglianza”, perché l’esperienza privata degli utenti diventa proprietà delle aziende.
L’esperimento del contagio emotivo di Facebook del 2012
Nel 2012 un esperimento su circa 700mila utenti ha dimostrato come la manipolazione del contento del feed di notizie di Facebook possa modificare le emozioni degli utenti. L’esperimento è stato eseguito da Facebook stesso in collaborazione con le università di Cornell e della California.
L’obiettivo era capire se le emozioni sono contagiose sui social media, ossia se gli utenti si influenzano emotivamente a vicenda attraverso i contenuti che visualizzavano sui loro feed di notizie. L’esperimento si è svolto per una settimana, dal 11 al 18 gennaio 2012. Il campione di utenti di Facebook raccoglieva utenti casuali e inconsapevoli.
Gli account sono stati suddivisi in gruppi: una parte degli utenti ha visto molti post contenenti parole positive, un’altra parte ha visto molti post con parole negative e un gruppo di controllo ha continuato a vedere i feed di notizie senza alcuna modifica. Lo studio ha rilevato che gli utenti esposti a contenuti negativi tendevano a usare poi molte parole negative nei loro post. Il contrario succedeva per gli utenti che vedevano molti contenuti positivi. Questo suggerisce che le emozioni possono essere contagiose attraverso i social media. Maggiori dettagli li trovate a questo link del sito della Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).
“Il Filtro” (2012) di Eli Pariser
Vediamo infine uno studio dell’attivista e ricercatore americano Eli Pariser dal titolo “Il Filtro: Quello che Internet ci nasconde”. Il libro esplora come gli algoritmi di personalizzazione di Internet, in particolare quelli utilizzati da motori di ricerca e social media, creano una bolla di filtraggio che limita la nostra esposizione a informazioni diversificate, rafforzando le convinzioni esistenti e creando una visione del mondo più ristretta.
I contenuti che vediamo sui social network sono basati sui nostri comportamenti passati, interessi e preferenze. Questo porta ad un’esperienza online altamente personalizzata ma limitata. Le bolle di filtraggio possono contribuire alla polarizzazione politica e sociale, poiché le persone sono meno esposte a punti di vista opposti. Inoltre facilitano la diffusione di disinformazione e notizie false, poiché gli algoritmi tendono a mostrare contenuti che confermano le nostre preesistenti credenze.